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Inquadramento clinico di una patologia cronica a eziologia sconosciuta, fortemente invalidante e di sempre maggior diffusione.
La Burning Mouth Syndrome (BMS) o sindrome della bocca urente, è una patologia cronica a eziologia sconosciuta, fortemente invalidante e di sempre maggiore diffusione nella nostra società. È conosciuta in letteratura anche con i termini di stomatodinia, orodinia, glossodinia, glossopirosi, stomatopirosi, disestesia orale. Il suo inquadramento nosologico è ancora oggi molto dibattuto e crea difficoltà nella corretta classificazione dei sintomi e soprattutto nella gestione terapeutica di questi pazienti1. La prevalenza stimata della malattia varia tra lo 0,7 e il 3,6% negli uomini e tra lo 0,6 e il 12,2% nelle donne (rapporto uomini-donne 1:7 o 1:3 a seconda degli studi esaminati); insorge più frequentemente nella quinta-settima decade di vita ed è rara al di sotto dei 30 anni2. L’International Association for the Study of Pain (IASP) la definisce come un’entità nosologica distinta, caratterizzata da una sintomatologia intraorale urente, accompagnata talvolta da secchezza e prurito, fino a vere e proprie algie, che persiste da almeno 4-6 mesi, con una mucosa orale clinicamente sana, in assenza di alterazioni patologiche locali o sistemiche3 (Figg. 1, 2). Il bruciore, localizzato a un distretto o diffuso a tutto il cavo orale, è il sintomo prevalente della malattia e coinvolge principalmente la lingua e le labbra, seguite in ordine di frequenza da: palato duro, creste alveolari guance e pavimento della bocca. L’intensità è notevole e influisce notevolmente sulla qualità di vita del paziente. Generalmente è meno accentuato al mattino, per intensificarsi nel prosieguo della giornata, si attenua durante il pasto, bevendo bibite fresche e durante lo svolgimento di attività ricreative o professionali4.
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